Gli ospedali psichiatrici giudiziari in regime di proroga:una deroga costituzionale.
GLI OSPEDALI PSICHIATRICI GIUDIZIARI IN REGIME DI PROROGA:UNA DEROGA COSTITUZIONALE. PROFILI DI INCOSTITUZIONALITA' DELL'ART.206 C.P. E MANCATA REALIZZAZIONE DELLE CASE DI CURA E CUSTODIA.
L’Italia è il paese delle riforme mai realizzate e sempre rinviate e in cui il provvisorio tende a diventare definitivo per definizione. In poche altre vicende questo è riscontrabile come nel caso della mancata realizzazione delle case di cura e custodia previste sulla carta dall’art.206 C.P. e che, nei fatti, portano gli internati a scontare la relativa misura cautelare nelle medesime strutture segreganti e in tutto simili alle strutture carcerarie degli O.P.G. (Ospedali psichiatrici giudiziari). Recentemente abbiamo avuto modo di sollevare eccezione di legittimità avanti al Tribunale del riesame di Roma, proprio su tale questione, chiedendo a tale A.G. di farsi giudice a quo presso il Giudice delle leggi,la Corte Costituzionale, per violazione degli artt.2,3,10 (evitare “deportazioni” in altre regioni o a distanze chilometriche fuori distretto per consentire, anche sulla base delle normative internazionali ed europee al condannato di scontare una pena che abbia una valenza rieducativa o comunque una misura cautelare non ingiusta e sproporzionatamente afflittiva che lo sradichi ulteriormente dal suo habitat e patrimonio personale e affettivo: cruel and inusual punishment:artt. 1, 69 A,comma 2 lett.b) Trattato di Lisbona, Convenzione e Carta dei diritti dell’Uomo,ecc.),13,14 nel caso in esame,16,24 e 25 anche in ordine al giudice naturale competente all’interrogatorio di garanzia,e soprattutto 27,in particolare secondo comma Cost.,rappresentando sempre la misura cautelare in certa qual misura un’anticipazione di pena come dimostra anche la medesimezza dell’O.P.G. nei fatti rispetto alla Casa di cura e custodia prevista dalla littera legis e infine anche in relazione all’art.111 Cost., perché la maggior lontananza dei soggetti dal tribunale ove vengono giudicati e dal luogo ove sono stati commessi i fatti ed in cui si svolgono le indagini non garantiscono complessivamente i principi del contraddittorio e del giusto processo rendendo più difficoltosi i rapporti con i legali, con la stessa magistratura competente ai casi e agli espletamenti e adempimenti processuali, comprese le possibilità di indagini difensive e quant’altro e comportando la maggiorata afflittività della misura tanto per gli internati che per i loro familiari,essendo peraltro presenti solo 5 O.P.G. su scala nazionale che dovrebbero soddisfare il fabbisogno di un paese così geograficamente composito e conformato come l’Italia, Isole comprese, dicevamo appunto che se la struttura in cui in concreto si sconta la pena è la stessa degli O.P.G., alla luce di tutto quanto sopra evidenziato, non potranno, anche in sede cautelare, e specie in regime di “proroga delle strutture”, quale deroga costituzionale a nostro avviso,che applicarsi almeno i medesimi criteri del 222 C.P. applicati per gli O.P.G., i quali escludono dall’applicazione le ipotesi di reati contravvenzionali, come il 660 o 674 C.P.,i delitti colposi e i delitti per i quali la legge stabilisce la pena pecuniaria o la reclusione non superiore nel massimo a due anni.
Questo discorso si unisce alle legittime lamentele e rilievi di costituzionalità sull’art.206 C.P. (sollevati fin dal Manuale di autodifesa del cittadino “I tuoi diritti” di Amedeo Santosuosso) che rendono la situazione di infermi di mente e minori, nel nostro sistema,soggetti ad una discrezionalità eccessiva nelle mani dei magistrati o peggio che determinano in alcuni casi meccanismi di automatismo custodiale (in casa di cura e custodia, O.P.G. o riformatorio) ,correlati a considerazioni del tipo: il soggetto secondo perizia da incidente probatorio o addirittura da semplice C.T.P. psichiatrica del P.M.,che è pur sempre una parte processuale,deve essere ricoverato in struttura in grado di seguirlo e garantirne il trattamento terapeutico, la Regione e il Ministero di Giustizia non hanno realizzato né idonee strutture alternative agli O.P.G. e collegate ai Centri di salute mentale, magari presso cui il soggetto è già in cura o comunque competenti per la zona in cui risiede,né le cosiddette case di cura e custodia rimaste sulla carta dell’art.206 C.P., ergo lo mandiamo in Ospedale psichiatrico giudiziario, magari in regione diversa da quella di residenza, perché la libertà vigilata non sarebbe comunque una misura cautelare alternativa idonea a garantire il profilo dell’intervento terapeutico (e magari sulla base di un’ipotesi originaria di reato contravvenzionale: ad esempio perché ha arrecato molestie agli altri condomini andando a bussare alla loro porta o perché gridava: 660 C.P.,ecc.). Puntualizzato che tale impostazione non sembra affatto condivisibile alla stregua di varie pronunce di legittimità, occorrerà anzitutto premettere, per aver chiari i profili dogmatici della questione, che,come si legge a pagina 907 del volume primo del Codice di Procedura Penale commentato a cura del Prof.Giorgio Spangher,ediz.Ipsoa, circa l’art.73 C.P.P.: il Magistrato conserva “quel margine di discrezionalità che gli consente, da un lato, di scegliere il presidio ospedaliero reputato più idoneo a soddisfare le esigenze terapeutiche (rel. Prog. Prel. 32), in dottrina Aimonetto, in giurisprudenza Cassazione Sezione Quarta 20/1/1992, P.M. in c. Pezzoli, Ced 189421, la quale ha ritenuto corretta la decisione del tribunale del riesame che, all’esito della valutazione fondata sull’esame dell’imputato nel corso dell’udienza”,(per questo consigliamo ai colleghi di far verbalizzare fin dall’interrogatorio di garanzia la richiesta di traduzione dell’indagato come richiesta personale dello stesso di presenziare all’udienza del riesame,onde consentire tale apprezzamento da parte dei giudici del riesame che, come periti peritorum, potrebbero superare, anche in nome della presunzione relativa di capacità di intendere e volere,determinate valutazioni peritali affrettate o quando siano evidenti aspetti diversi da quelli che hanno condotto alla adozione della misura, evitando con tale verbalizzazione che possano magari essere evitate traduzioni per evidente antieconomicità fuori distretto o per altri motivi,trattandosi peraltro di un diritto fondamentale dell’indagato-imputato quello di poter presenziare alle udienze che lo riguardano….) “ha disposto la sostituzione della misura più rigorosa della custodia in casa di cura con quella più confacente alle esigenze terapeutiche dell’imputato,ossia il trattamento presso il centro di igiene mentale con conseguente liberazione immediata dello stesso”, o in casa di cura normale,comprese quelle convenzionate, indicate dal C.S.M. medesimo che magari segue già il soggetto o sulla base delle stesse indicazioni peritali in tal senso. Premesso dunque che anche l’attuale sistema conoscerebbe meccanismi di garanzia volti ad evitare eccessi e automatismi poco condivisibili sul piano pratico,specie in fase di indagine e cautelare, rimane il fatto che l’eccezione di costituzionalità sugli artt.206 e forse anche 222 C.P. pare difficilmente non accoglibile o procrastinabile alla luce di altre considerazioni. Come si legge in un interessante articolo di Gian Luigi Gatta intitolato “La riforma degli ospedali psichiatrici giudiziari” nella versione giuridica dell’Enciclopedia Treccani (reperibile anche on line: http://www.treccani.it/enciclopedia/la-riforma-degli-ospedali-psichiatrici-giudiziari_(Il-Libro-dell'anno-del-Diritto)/ ) : La riforma degli ospedali psichiatrici giudiziari: una riforma del febbraio 2012 (d.l. 22.12.2011, n. 211, conv., con modificazioni, in l. 7.2.2012, n. 9) ha disposto il “definitivo superamento” degli ospedali psichiatrici giudiziari entro il 1° febbraio 2013. Non si tratta dell’abolizione della relativa misura di sicurezza detentiva – destinata all’autore di reato non imputabile e socialmente pericoloso – bensì della realizzazione di nuove strutture, su base regionale, ad esclusiva gestione sanitaria interna e con attività di vigilanza esterna, ove necessaria. La riforma è animata dal nobile intento di cancellare la vergogna degli attuali istituti, afflitti da carenze organizzative e di organico che hanno del tutto vanificato le funzioni di cura degli internati, e che si differenziano solo marginalmente dal carcere. Il termine ravvicinato previsto per l’attuazione, i ritardi già accumulati e l’ingente impegno di risorse, difficili da reperire in tempi di crisi economica, lasciano tuttavia pensare che sia alto il rischio che la riforma resti sulla carta. La ricognizione. Il “definitivo superamento” degli O.P.G. nella l. n. 9/2012 1.1 Il fallimento degli O.P.G. e l’esigenza di una riforma 1.2 Il superamento degli attuali istituti carcerari attraverso la loro “sanitarizzazione” 1.3 Estensione della riforma alle case di cura e di custodia”, mai realizzate in concreto dai tempi del Codice Rocco che le prevedeva espressamente esattamente come avrebbe previsto istituti penitenziari differenziati da quelli ordinari per scontare pene minori,come l’arresto, diverso dalla reclusione teoricamente nel nostro sistema, che infatti lo prevede per reati contravvenzionali di minore entità rispetto ai delitti. Sulla questione delle case di cura e custodia il Gatta scrive a chiare lettere: Estensione della riforma alle case di cura e di custodia: “Va peraltro segnalato che la riforma sin qui descritta, per espressa previsione del citato art. 3 ter d.l. n. 211/2011, si estende alla misura di sicurezza dell’assegnazione a una casa di cura e di custodia, di cui agli artt. 219 s. c.p., destinata ad autori di delitti dolosi, socialmente pericolosi e semi-imputabili, la cui capacità di intendere e di volere al momento del fatto era cioè grandemente scemata in ragione di infermità psichica, cronica intossicazione da alcool o stupefacenti, ovvero sordomutismo. Si tratta, in questo caso, di una misura di sicurezza detentiva che riguarda autori di reato penalmente responsabili e pertanto condannati, a una pena diminuita in ragione della loro semi-imputabilità e che deve di regola eseguirsi prima dell’internamento nella casa di cura e di custodia.
L’istituzione delle case di cura e di custodia non è però in realtà mai avvenuta: si tratta, infatti, nel migliore dei casi, di sezioni o reparti degli O.P.G.8, quanto non, direttamente, dell’internamento tout court negli stessi O.P.G. (nelle medesime celle o stanze), dei quali le case di cura e di custodia – esistenti solo sulla carta – condividono le segnalate gravi disfunzioni. Di qui la necessità, soddisfatta dal legislatore del 2012, di estendere la riforma sopra illustrata anche a tale ultima misura di sicurezza, che in base all’art. 3 ter, co. 4, d.l. n. 211/2011 dovrà pertanto eseguirsi, a decorrere dal 31 marzo 2013, nelle comunità terapeutiche di si è detto.”
Tanto premesso vanno inquadrate in questa ottica di “deroga costituzionale” le recenti parole del Presidente della Repubblica Napolitano, nella sua veste formale anche di colui che presiede il Consiglio Superiore della Magistratura, non potendo quindi non ritenerle rivolte,in primis, anche ai Magistrati (dovendo indurli a ricorrere a certe misure come extrema ratio,specie in sede cautelare), il quale,firmando il decreto di proroga di un anno, in deroga alle previsioni legislative succitate,delle strutture O.P.G., in veste quindi anche di case di cura e custodia, ha espresso vivo rammarico e dolore nei confronti dei destinatari di tali provvedimenti, affermando che non si era potuto provvedere diversamente per la grave situazione straordinaria di crisi economica che affligge il paese. In questa ottica non ci si può esimere, a nostro sommesso avviso, da doverose considerazioni circa il peso delle responsabilità non solo dei governi succedutisi nel loro complesso, dei dicasteri competenti alla realizzazione (Giustizia e Salute) e della pubblica amministrazione nel suo complesso. Tanto che le attenzioni del sottoscritto si appuntano, a fronte della traduzione dei destinatari di certe misure residenti nella Regione Lazio,la regione in cui è sita Roma capitale, presso le strutture della Regione Campania (O.P.G. Secondigliano,ecc., pure gestite da personale qualificato per quello che ho avuto modo di apprezzare in prima persona), fatto forse senza eguali in nessun altra capitale o Stato membro dell’Unione Europea, sulla gestione della sanità laziale da parte della passata Giunta Polverini, sotto il cui mandato entravano in vigore le normative su richiamate volte a quella che Gatta definisce la “sanitarizzazione” del regime custodiale e la necessità di realizzare su base regionale, in collegamento con i centri di salute mentale di zona, strutture sanitarie alternative idonee,nel solco dello spirito della Riforma Basaglia, la nota Legge 180 del 13/5/1978, in cui poter ricoverare questi soggetti,evitando quindi loro le “deportazioni in altra regione” con maggiori difficoltà a mantenere i regimi di visita con i familiari, con i difensori e periti di parte,ecc.,con sradicamento pressoché totale dal loro habitat non solo affettivo (vedasi anche regime dei permessi e il fatto che se gli si concede la possibilità di uscire dall’istituto per una mezza giornata o in orario diurno con obbligo di rientro la sera,per tentare di reinserirsi e socializzare, il soggetto in questione si trova a vivere tale permesso in una città diversa da quella in cui magari ha il suo patrimonio affettivo e di relazioni o patrimoniale o la casa di proprietà,ecc.) e quindi con lesione non solo potenziale dei diritti di difesa,ma ancor più con maggior “traumatizzazione secondaria” di soggetti già affetti presumibilmente da disturbi psichici! In quest’ottica abbiamo chiesto formalmente al Ministro della Giustizia Orlando di aprire un’inchiesta ministeriale per accertare eventuali responsabilità e inadempienze e in questa ottica si collocano sempre le riflessioni anche dell’articolo di Gatta sulla mancata tempestiva adozione di apposito decreto ministeriale: “Il legislatore (art. 3 ter, co. 2, d.l. n. 211/2011, cit.) ha poi delegato la definizione di ulteriori requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi, anche con riguardo ai profili di sicurezza, relativi alle strutture di cui sopra, a un decreto ministeriale che mentre scriviamo non è ancora stato adottato, nonostante sia ampiamente decorso il termine (31 marzo 2012) fissato per la relativa adizione. Al momento si ha notizia solo di uno schema di decreto ministeriale7, che prevede in particolare la creazione di piccole comunità terapeutiche, ciascuna con un numero massimo di 20 posti letto, gestite esclusivamente da personale sanitario e, in particolare, dalle aziende sanitarie locali, sotto la direzione dei dipartimenti di salute mentale. Nelle strutture, ciascuna dotata di area verde all’esterno, dovranno essere presenti locali per attività sanitarie e di servizio comune, comprese le attività lavorative e riabilitative.”. Resta il fatto che la sanità laziale non disporrebbe nemmeno di un O.P.G. o struttura equipollente, a tutt’oggi,mentre la Campania ne avrebbe addirittura almeno due, e se si considera che solo Roma Capitale vanta sicuramente più dei 3 milioni di abitanti,che possono diventare anche 5 o più con turisti e pendolari, la situazione al 2014 è davvero poco giustificabile in termini politico-amministrativi. Si tratta poi di destinatari di provvedimenti, specie quelli delle misure cautelari in fase di indagine, la cui valutazione dello stato di salute mentale non è ancora stata definita con ordinanza di sospensione processuale ex art.85 C.P.-70 C.P.P. e men che mai definitiva che ne escluda cioè la processabilità e sottoposizione a pena per difetto di capacità processuale e di intendere e volere. Per completezza ci preme altresì richiamare la giurisprudenza costituzionale sull’argomento: ricordando che,con sentenza n°253 del 18/7/2003 la Corte Costituzionale sull’art.222 C.P. ne ha già dichiarato l’illegittimità costituzionale nella parte in cui non consentiva al giudice,nei casi ivi previsti, di adottare, in luogo di ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario,una diversa misura di sicurezza,prevista dalla legge,idonea ad assicurare adeguate cure all’infermo di mente ed a far fronte così alla sua pericolosità sociale.”, che con sentenza n°324 del 24/7/1998 la stessa Corte ha dichiarato incostituzionale il medesimo articolo nella parte in cui prevedeva l’applicazione della misura dell’O.P.G. anche ai minorenni,che altresì con sentenza n°139 del 8/7/1982 la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il primo comma di tale articolo nella parte in cui “non subordina il provvedimento di ricovero in O.P.G. dell’imputato prosciolto per infermità psichica al previo accertamento da parte del giudice della cognizione e della esecuzione della persistente pericolosità sociale derivante dalla infermità medesima al tempo dell’applicazione della misura”,richiedendosi quindi la persistenza di tale stato e non semplicemente che esso possa esser sussistito al momento della commissione del fatto. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono siamo in grado di poterne dedurre, non solo la necessità di dover ricorrere a certe misure, in regime di “deroga costituzionale” e proroga rispetto a originarie previsioni di legge, solo come extrema ratio, e particolarmente nella fase cautelare, come è nello spirito garantistico che inerisce a tutti i provvedimenti cautelari limitativi del bene supremo della libertà personale nel nostro sistema, ma anche che tali misure non debbano essere il risultato di valutazioni sommarie, di parte o affrettate. La pronuncia citata 139/82 parla infatti letteralmente di accertamento della persistenza dello stato da parte del giudice della cognizione e della esecuzione e non,ad esempio, del P.M., che pur essendo un Magistrato e rientrando nel concetto di A.G., tuttavia non può essere equiparato o considerato “giudice” tout court alla stregua di tale sentenza, sicchè esprimiamo vive perplessità circa la sufficienza di una semplice C.T.P. esperto fiduciario del P.M. al fine di poter irrogare determinate misure, auspicando quantomeno una perizia nella fase cognitiva,anche per poter giungere, in pieno contraddittorio dibattimentale o in udienza preliminare, alla declaratoria ex artt.85 C.P.-70 C.P.P. ed essendo altrettanto necessario, a tal uopo, secondo la miglior scuola e tradizione criminalistica e di psichiatria forense derivataci da due luminari del calibro di Semerari e De Vincentiis,che non solo la valutazione del soggetto non sia affrettata (quest’ultimo consigliava almeno 6 ore di colloquio e in più incontri tra perito e periziando, basandosi su items e risultati clinici oggettivi di tests e riscontri), ma anche che sia espletata con le regole del più ampio contraddittorio e la possibilità di controllo da parte anche della difesa tecnica oltre che degli eventuali C.T.P. (evitare domande suggestive,insidiose,interpretazioni del tutto fuorvianti o parziali,l’assistenza tecnica del difensore,ecc. cercando di garantire costantemente, in ogni fase,compresa quella di indagine e del colloquio con lo stesso perito, quelle imprescindibili garanzie che il nostro codice di procedura, in particolare agli arrt.64-65,assegna quasi come una sorta di corredo processuale che lo segue per tutto l’iter del procedimento penale a chi riveste la qualità di indagato o di imputato,equiparate sotto tal profilo ai sensi dell’art.61 C.P.P.),garanzie che non a caso la lett.f) dell’art.392 C.P.P. equipara,con lo strumento dell’incidente probatorio sulla casistica della perizia e di determinati accertamenti,per quanto possibile, anche circa le modalità di assunzione, alle procedure dibattimentali nell’ottica costituzionalmente orientata del giusto processo (art.111 Cost.). Anche su tale specifico risvolto, a tutela del ruolo professionale di garanzia del difensore,oltre alla inaccettabilità di cambiamenti dei capi di imputazione, non previamente contestati, e a seguito magari della C.T.P. dello psichiatra del P.M., che finiscono per eludere i diritti di difesa, il sottoscritto ha avuto anche modo di contestare la validità di quanto sia assunto al di fuori del pieno contraddittorio o controllo-partecipazione del difensore o nell’incompletezza di tale contraddittorio che vive anche solo della muta presenza della figura garantistica del difensore, in alcuni casi, rilevando che: “Si tenga presente che quelli dell’art.64 e seg.C.P.P. rappresentano veri e propri principi generali e fondamentali di garanzia nei confronti dell’indagato-imputato che lo accompagnano per tutto il corso dell’iter procedimentale,fin dalla fase di indagine e che, in realtà, la garanzia necessaria della presenza del difensore per l’interrogatorio e per qualsiasi altra forma di atto da cui possano risultare o in cui possano essere rilasciate “dichiarazioni indizianti” o comunque pregiudizievoli,anche ai fini dell’applicazione di eventuali misure di sicurezza, per il principio sacrosanto del “nemo tenetur se detegere”, rappresenta l’unico vero baluardo che può astrattamente e in concreto difendere lo stesso anche semplicemente da domande insidiose o suggestive per cui la verbalizzazione,anche delle dichiarazioni del periziando, dovrebbe essere unica e controfirmata in tutte le pagine anche dal difensore e ragion per cui è opinione del sottoscritto che, in casistiche come quelle di cui stiamo parlando,non trattandosi certo nella maggior parte dei casi di situazioni assimilabili a quella della perizia ginecologica per violenza sessuale o altro tipo di intervento peritale in cui vada, in qualche modo, garantita la riservatezza o il pudore del paziente, e sempre salvo diversa volontà dello stesso (trattandosi quindi di tutelare anzitutto questo profilo anche quando di volontà scemata o barlume di volontà si possa parlare!) ,trattandosi di una procedura giudiziaria e per di più regolata dalla procedura penale,la presenza del difensore, se richiesta dall’interessato, andrebbe sempre garantita comunque, dalla fase della notifica dell’incarico peritale a quella del colloquio tra perito o C.T.P. del P.M. e periziando.”, avendo cura di evidenziare che la prassi dell’esclusivismo medicale invalsa negli ultimi anni a livello forense,secondo cui solo il C.T.P. della difesa potrebbe presenziare a certi atti ed operazioni,tradisce un errore o malinteso di fondo, di “caratura tecnica” rispetto alla tradizione del processo italiano come ereditata dal codice di rito previgente (vedasi la scena della perizia col Giudice che sovraintende e presenzia nel celebre film “PORTE APERTE” di Gianni Amelio) e,come in parte, affiorante anche da numerose norme del Codice attuale,a livello almeno di principi,talchè, se si ricercasse nel Codice una norma che legittimasse l’esclusione della figura del difensore dalla fase del colloquio tra C.T.P. e soggetto periziando,a nostro modesto avviso, non la si troverebbe affatto. Anzi il Codice e la Costituzione sembrano deporre,nel loro complesso, alla luce delle norme citate,ecc. sempre a nostro sommesso avviso, per la garanzia della pienezza del contraddittorio e dell’assistenza anche in questa fase delicata, garanzia del contraddittorio che non può essere ovviamente quello tecnico-medicale sganciato dal controllo,anche in termini procedurali,in ogni stato e grado, per quanto possibile, degli operatori del diritto (che non possono passare da “periti peritorum” a “bannè”!) e,in ultima analisi, da chi può conoscere qualcosa in più del medico in termini di procedura penale, che è la vera cornice tecnica in cui può iscriversi ogni apporto medico, psichiatrico o d’altro genere nell’ambito del processo penale. O quantomeno,diversamente procedendo, si potrebbe parlare, a nostro avviso di incompletezza del contraddittorio e quindi dei principi del giusto processo. A maggior ragione questo in casi in cui, ad esempio, per motivi economici o altro, il periziando possa essersi recato alla visita peritale senza altra assistenza che quella del difensore, ad esempio perché impossibilitato a reperire o pagare un C.T.P. Tutto questo discorso, in termini storici,filosofici e politici, non può infine che riportarci anche a quel filone della riflessione nella clinica e nel pensiero psicanalitico che tendeva ad evidenziare come in regimi autoritari o di polizia,o anche in momenti di “crisi delle garanzie di sistema”, il dissidente, l’emarginato, il soggetto spesso colpito dalla sventura,dalla povertà o dalla solitudine, più ancora che dalla malattia mentale o dal disturbo della personalità (ricordiamo sempre di tenere a mente le tre classificazioni tradizionali derivanti proprio dalla scuola di De Vincentiis e Semerari: normalità,psicopatia e psicosi,avendo cura di rapportarle al non sempre facile accertamento delle “linee di confine” e alla crisi dei cosiddetti “modelli positivi” di riferimento nella realtà contemporanea…), tenda a poter esser fatto passare per “folle o anormale”, allo scopo di eliminare elementi “critici,scomodi o non allineati” o anche solo di privarli di credibilità o screditarli agli occhi dei più,cercando di far passare per sani solo i cosiddetti “ben integrati” o organici e allineati al sistema. Le garanzie,comprese quelle della procedura e quelle costituzionali, servono dunque proprio ad evitare il riproporsi di certi fenomeni tipici dei peggiori regimi totalitari.
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