Gli errori che possono portare un’impresa al fallimento
di Maurizio SicilianoNelle scorse settimane, mentre discutevo con colleghi sulle cause dei possibili fallimenti diun’impresa, ho cominciato a leggere un libro, che avevo ricevuto tempo fa, di Trias de Bes,“Il libro nero dell’Imprenditore”, dedicato a coloro che vogliono iniziare un’attivitàimprenditoriale ma che, secondo me, è molto utile anche per chi conduce un’azienda.Nel testo ci sono alcune considerazioni che ci possono far dire che, a volte, i motivi di unfallimento sono piuttosto semplici.L’autore fa alcune considerazioni già piuttosto note agli addetti ai lavori ma che sonoimportantissime:· il 90% dei nuovi progetti imprenditoriale fallisce entro i primi 4 anni di attività;· gli errori più gravi di chi gestisce un’impresa non sono solo errori di gestione, maERRORI STRATEGICI DI BASE;· gli errori insegnano più dei successi, come la maggior parte delle cose;· mentre ogni successo ha una sua storia peculiare, tutti i fallimenti sono daricondurre ad una serie di motivazioni che hanno tutti un comune denominatore.Pare che, in quest’ultimo motivo, de Bes identifichi i Fattori Critici di Fallimento, FCF, inantitesi anche ai più noti Fattori Critici di Successo di scuola McKinsey, ovvero, gli erroriche ogni imprenditore deve evitare di commettere.Si inizia con l’analizzare i motivi che sono alla base di un progetto di “start-up” ma che nonsono sufficienti per avere successo. Per de Bes, in genere, chi si butta in una nuovaimpresa:· è senza lavoro;· odia o disprezza il capo o l’azienda nella quale lavora;· vuole gestire meglio vita privata e professionale ed aspira ad una maggiore libertà;· desidera guadagnare molto di più;· vuole sfidare se stesso e il mondo che lo circonda;· vuole fare qualcosa che gli piace.De bes, a questo punto, afferma un principio che sostengo da tempo e cioè, che il motivodella spinta a intraprendere una nuova attività è poco rilevante per il conseguimento delsuccesso: ci vogliono, motivazione, volontà ed illusione – sogno.Il primo FCF è quindi chiarissimo: “...iniziare una nuova attività imprenditoriale con unmotivo ma senza motivazione”.Il secondo FCF è: “ …non avere un carattere da imprenditore”. Solo chi ama il rischio e sagestire l’imponderabile, può fare questo tipo di percorso personale e di vita.Il terzo FCF è: “…non essere lottatore, non avere spirito combattivo”. I risultati noncoincidono quasi mai con le aspettative ed è necessario avere persistenza ed una notevolecapacità di ridefinire progetti ed attività.Il quarto FCF è: “…fare affidamento sui soci quando se ne potrebbe fare a meno… megliosoli che male accompagnati... ”. Un socio che non apporti effettivo “valore” all’impresa nonserve. Il valore sono risorse, lavoro e produttività… Il resto è noia.Il quinto, il sesto e il settimo FCF, fanno sempre riferimento all’incauta decisione diimbarcare dei soci nell’impresa: l’autore, infatti, elenca tra gli errori, “non decidere inanticipo cosa fare quando ci si divide”, “…fare parti uguali quando non tutti contribuisconoin uguale misura…” e “…mancanza di fiducia e comunicazione con i soci…”.Quando ci sono dei soci, bisogna mettere nel conto che in futuro le cose potrebberocambiare, come in tutte le relazioni. L’entusiasmo può lasciare il posto alla demotivazioneed è giusto predisporre prima le basi di un’eventuale separazione indolore per l’impresa.L’ottavo FCF è: “…pensare che il successo dipenda dall’idea…”. Questa è un’illusione tipica,tanto che molti innalzano improbabili recinti di sicurezza per difendere la loro idea, il“know-how”, per evitare che qualcuno la copi. Invece, le idee devono essere condivise,confrontate e cambiate se necessario. I punti deboli e critici di un progetto è meglio chevengano fuori prima, in modo che siano rapidamente risolti. Conta come si realizza l’idea equanto si è flessibili nel modificarla.Il nono FCF, sembra quasi banale: “…introdursi in settori che non piacciono e che non siconoscono…”.Seguono altri FCF molto importanti che hanno a che fare con i bisogni personali e leambizioni materiali. Fare l’imprenditore significa anche sapere rinunciare e nonconsiderare l’azienda come un “bancomat”. Non bisogna mai togliere ossigeno all’attività afavore di se stessi o di futilità.Di conseguenza, il successivo FCF afferma: “…mettersi in proprio senza tenere contodell’impatto che questo avrà sull’equilibrio della vita…”. Fare l’imprenditore può essere ilmigliore mestiere del mondo ma comporta anche molte privazioni e bisogna esserepreparati.Un altro FCF che propongo anche io da anni è: “…creare modelli di attività che non creinoutili in tempi brevi ed in modo sostenibile”. Sia in passato che oggi, mi presentano progettied idee molto carenti su questo punto e per questo scarto l’idea e sconsiglio diintraprendere la strada. Questo è un punto molto difficile e delicato da spiegare,soprattutto a chi vive il momento dell’entusiasmo dell’idea. Molti che hanno intrapresol’attività, nonostante questo evidente fattore critico presente, oggi potrebbero testimoniareche non ne è valsa la pena o, peggio, che la loro vita è cambiata e non in meglio.L’ultimo FCF è ”…avere temperamento da imprenditore e non da capo impresa e noncapire in tempo quando è il caso di ritirarsi”. Ogni azienda ha un suo ciclo di vita: nascita,sviluppo, consolidamento. Consolidare significa, però, continuare a crescere. Tutte questefasi, difficilmente stanno sempre in capo alla stessa persona, che deve avere la creativitàdell’imprenditore e la capacità gestionale del manager. Chi non ha queste doti deveabilmente passare la mano per la sopravvivenza dell’impresa e del suo reddito, cosadifficile a farsi… L’azienda che ha la fortuna di avere questo imprenditore-manager ècertamente ancora lì a scrivere la storia del suo futuro.
Reazioni:
Voto medio
-
0 VOTI
Iscriviti
