Le filosofie del bello
Quando si parla di arte, si parla di ispirazioni degli artisti e della loro anima. I capolavori dell'antichità ci dicono che gli Antichi avevano un'energia smisurata, un potenziale di crescita immenso, con orizzonti ben precisi. I Greci portavano in grembo ciò che l'Occidente avrebbe realizzato nei secoli futuri. Da autentici conoscitori della natura fabbricavano perle preziose col fango e mostravano con orgoglio i loro risultati ad una umanità grata e sbalordita. Molti avanguardisti, invece, continuano ancora oggi a rovesciare tutto; vogliono fabbricare il fango con le perle e farlo pagare a caro prezzo. Edmund Burke, nella sua celebre “Inchiesta sul bello e sul sublime”, fa notare che gli uomini, al di là di alcune piccole disuguaglianze fisiche, non differiscono gli uni dagli altri; hanno gli stessi gusti, gli stessi bisogni e provano gli stessi piaceri. “Credo che nessuno pensi che un'oca sia più bella di un cigno” (Burke). Ciononostante, dato che il gusto è il più ambiguo dei sensi, c'è chi fa leva proprio su di esso, per sottrarre l'uomo anche dalle verità più semplici e basilari. Attualmente si attribuisce valore ad oggetti volgari, ordinari, spregevoli, che prima non l'avevano. Elevare ad opera d'arte un oggetto qualsiasi o un sasso trovato casualmente per strada, è nichilismo; significa che siamo diventati insensibili e che per certa gente è facile spacciare cattiverie per benignità. Molti modernisti d'oggidì, stando alle immagini fornite dai mass media, sembrano tanti alchimisti alle prese con la pietra filosofale. Noi li crediamo impegnati ad elaborare sempre nuove formule e nuove ricette, per fabbricare la chiave di una superiore saggezza; invece si prodigano per allontanarsene ancora di più. Senofonte racconta che Socrate e Platone erano continuamente occupati dal problema di porre uomini sensibili e competenti nelle posizioni di governo. Anche Bertrand Russell, Karl Popper e tanti altri erano del parere che il comportamento dei governanti dovesse essere costantemente e scrupolosamente controllato. Oggi certi politici, filosofi ed artisti hanno la licenza di fare ciò che vogliono; hanno soprattutto il permesso di assecondare la politica di abbrutimento dei giovani e soffocare l'anima del popolo, perché, se c'è una cosa che temono, questa è il pensiero sano e corretto. I pittori d’avanguardia di fine Ottocento, con l’appoggio dell’intellighenzia dell’epoca, furono i primi a dichiarare che le statuette congolesi di legno, scolpite da ignoti aborigeni della giungla, erano superiori, sotto tutti i punti di vista, alle sculture minuziosamente rifinite della nostra civiltà. Fu Nietzsche ad usare per la prima volta la formula: “Inversione di tutti i valori”, ossia canoni inversi, indietro tutta. Ma, alla lunga, il brutto uccide. Giacomo Leopardi diceva: “Il brutto è un poter che, ascoso, a comun dànno impera”. Il brutto è un potere che, di nascosto, trama per la nostra fine. "Apparentemente inoffensivo, assume le ingannevoli sembianze della virtù per corrodere meglio". Dalla bellezza nascono l'intelligenza, l'ammirazione, il desiderio e l'amore; dal brutto nascono l'insensatezza, l'ignoranza, l'odio e l'infelicità. Il bello eleva e procura godimento a chiunque e ovunque; il brutto opprime e ottunde. Il nutrimento adatto all'anima, dunque, è il bello; tale nutrimento è essenziale e deve provenire da un mondo superiore, raggiungibile tramite l'arte. Soltanto l'esaltazione della natura, con cui l'anima dell'artista riesce a volare, può offrire cibi buoni da cogliere a determinate altezze. Purtroppo non sempre è così. Platone stesso fa sapere che per quanto eccelsa possa essere l'arte di un artista, per quanto alto sia il suo volo e per quanto buono possa essere il nutrimento che la sua anima si procura, ad un tratto le ali si distaccano dal corpo, a causa d'un peso improvviso, imprevedibile e misterioso, e l'anima dell'artista, che sta fluttuando nell'Iperuranio, ritorna puntualmente ad una dimensione terrestre. Tuttavia, in tutto questo tourbillon di rapimenti e naufragi, all’artista rimane un ricordo, seppure debolissimo, di quel mondo perfetto, e lo imprime nelle sue opere. Molti non credono all'esistenza dell'anima, che invece esiste. Ci sono degli impulsi, che scaturiscono dentro di noi, di natura più divina che terrena, come la legge morale di cui parla Kant. “Due cose mi riempiono l'animo di ammirazione e riverenza sempre nuova e crescente: il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me” (Kant). Qualcuno ha detto che, per avere un'idea dell'esistenza dell'anima, basti pensare al rossore del viso. Esso non può essere represso né provocato, poiché è appunto una manifestazione dell'anima, indipendente dalla nostra volontà. C'è chi pensa che l'anima si identifichi col pulviscolo atmosferico; altri, invece, che sia ciò che lo muove. (Il pulviscolo è in continuo movimento, anche quando l'assenza di vento è totale.) Diogene affermava che l'anima è aria; Crizia, invece, che l'anima è sangue. Molti credono che l'anima, portata dai venti cosmici, penetri negli esseri umani dall'universo, attraverso l'aria che respiriamo. ”L'anima prova dolore e gioia, coraggio e paura, e inoltre si adira, percepisce e pensa; tuttavia, dire che l'anima è in collera equivarrebbe a dire che l'anima tesse o che costruisce una casa. Perciò è preferibile dire non che l'anima prova compassione o apprende o pensa, ma che l'uomo, per mezzo dell'anima fa tutto questo. L'anima è come la mano, giacché la mano è lo strumento degli strumenti” (Aristotele). Noi scopriamo tutte le nostre potenzialità solo quando facciamo qualcosa di speciale o di estremamente difficile, che coinvolge il nostro spirito. Per questo ciò che imprigiona lo spirito o lo sconvolge, fa paura. Gli artisti, durante l'atto della creazione, sono assaliti da qualcosa di stranamente inumano. Per Platone, tra tutte le cose adatte a favorire il ritorno spirituale nell'Iperuranio è la bellezza, quella che ci riesce meglio, perché sulla terra la percepiamo attraverso la vista, che è il nostro senso più puro. Perciò l'arte che offende la vista, oltre che imbarbarire, urta contro la sua purezza. L'informale, l'astratto, il volgare e l'osceno sono mezzi di abbrutimento perché privano l'anima proprio delle ali. Il brutto, insomma, è estraneo sia all'attività artistica che alla vita stessa. Le balordaggini del modernismo fanno perdere il senso della dignità. Nell'Ottocento, la corsa forsennata alla conquista del potere portò i filosofi mercenari a provocare una penosa confusione di idee e a suggerire un generale appiattimento di stili e contenuti artistici. Le teorie più semplici furono rivestite di una scientificità astratta, proprio per dar valore alle banalità; perciò il cosiddetto "bello ideale", da metro estetico, divenne ricordo vergognoso, unità di misura inattendibile, moneta fuori corso. Siccome Alexander Baumgarten, il fondatore dell'Estetica, con i suoi ragionamenti aveva convinto tutti, perché non fece altro che riallacciarsi al pensiero degli antichi Greci, occorreva distruggerlo ad ogni costo. Perfino Kant fu influenzato positivamente dalle dottrine baumgarteniane. Ai suoi allievi Kant faceva studiare anche i libri di Estetica. In definitiva, i dominatori (sia quelli di oggi che di allora), dovendo condannare le teorie del bello e la validità dell'arte classica, per osannare la legittimità di ogni atteggiamento irrazionale, attaccarono, prima di ogni altra cosa, proprio l'Estetica. Baumgarten, come tutti i pensatori degni di considerazione, asseriva che la massima espressione della bellezza bisogna ricercarla nella natura; quindi, dato che l'arte è sostanzialmente celebrazione del bello, l'idealizzazione della natura è il sommo compito dell'arte. Gli imbroglioni, però, commettendo di proposito l'errore di far derivare l'arte non dall'idealizzazione della natura ma dal concetto di bellezza, non solo travisarono le argomentazioni del Baumgarten, ma resero impenetrabili anche le acquisizioni più ovvie, relative alla nozione di bello naturale. In altre parole, siccome è risaputo che la bellezza è qualcosa di indefinibile, poiché è soggettiva, pure l'arte che si ispira alla bellezza deve essere indeterminabile. Cos'è il bello? Non si sa! - Cos'è l'arte? Non si sa! - Cos'è la poesia? Non si sa! Quindi, tutto può essere bello, tutto può essere arte e tutto può essere poesia, per Hegel. Purtuttavia, sebbene offuscare le più limpide ovvietà fosse la specialità di ogni ben stipendiato sofista, anche ingarbugliato in questo modo il nodo gordiano non sussiste. E' vero che le teorie dell'Estetica riconoscono solo la bellezza come contenuto dell'arte, ed è anche vero che la questione di cosa sia veramente la bellezza è difficile da stabilire e non può essere adoperata per definire l'arte; ma il bello esiste, la poesia esiste e l'arte pure esiste. Allora? Tutto ciò che esiste deve poter essere in qualche modo definibile; ogni cosa fatta dall'uomo, che attraversa il filtro sacro dei secoli, dev'essere analizzata, codificata, foss'anche empiricamente, e tenuta in grande considerazione, come appunto l'arte bella. ”Percepire e apprezzare la bellezza non sono facoltà esclusive dell'uomo, ma anche degli animali e delle piante. Gli uccelli abbelliscono con estrema cura i loro nidi, i fiori mostrano sempre colori splendidi; l'origine dell'arte è nel richiamo del maschio verso la femmina. Sul nostro pianeta, tutto è legato al bello. La natura ha profuso da ogni parte la bellezza, perfino sul fondo dell'oceano, perché noi ne prendessimo coscienza e ne godessimo” (Kant). L'essenza dell'arte, dunque, è in ciò che commuove l'uomo e in ciò che desta la sua ammirazione; perciò la bellezza ha sempre rivestito un ruolo importantissimo, sia nella nostra difficile quotidianità, che nella creazione di ogni nostro ambizioso manufatto. Bellezza equivale a moralità; Estetica ed Etica sono le facce di una stessa medaglia. In sostanza, il bello, pur essendo qualcosa di relativo, esiste e desta ammirazione e piacere, se non in tutti, certamente in tanti. Ricercare la bellezza, sebbene sia un’operazione soggettiva, è sempre stato un procedimento istintivo dell'uomo, poiché implica l'afferrabilità di un mondo ideale, indispensabile e proficuo. Ciò che è bello si avvicina alla perfezione e la perfezione glorifica lo spirito, stimola il nostro ingegno, esalta i sensi e fa bene all'anima. Proprio nei rapporti armonici, che costituiscono i segreti della bellezza, si racchiudono i più profondi segreti della nostra anima. La vera astronave per attraversare gli spazi siderali e volare ai confini dell'universo, verso Dio, è l'arte. Negare la validità del bello e dell'arte ad esso legata, significa tarpare all'uomo le ali dell'anima e immobilizzarlo intellettualmente. Oggi non esiste più “il bello uno e immutabile” perché la moda ideata dai padroni impone le sue leggi e stabilisce per tutti il metro della bellezza. E' ovvio che in un mondo dominato da chi detiene il monopolio del gusto, il concetto di immutabilità del bello venga snobbato e ridicolizzato. Prima, la bellezza consisteva nella perfezione e nell'armonia; oggi non più. I caratteri del bello, da Socrate in poi, furono sempre cinque: Varietà, Unità, Regolarità, Ordine e Proporzione. Il bello si fondava su un'armonia di rapporti tra questi cinque caratteri. Per questo l'artista aveva l'obbligo di idealizzare e non attenersi troppo alla realtà terrena. L'uomo tende, per sua natura, sempre alla raffinatezza e non alla rozzezza. L'animo umano si volge spontaneamente a rintracciare le cause dello scuotimento interiore prodotto da tutto ciò che è legato al soave, al poetico e al bello. (E.Pound) Il bello non solo è ovunque intorno a noi, ma mai stanca e mai sazia, è come il pane quotidiano. Condannare il bello o decretare che non esiste, non significa rovesciare un sistema di vita qualsiasi, ma l'unico sistema adatto a noi, dettato da Madre Natura.
E’ possibile approfondire l'argomento sul sito del pittore NICODEMO NAPOLEONE:www.napoleonenicodemo.com Addetto stampa:Ruta Anna RitaVia Palermo, 3065122 PescaraTel. 085.296.154info@napoleonenicodemo.com
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